Sto leggendo un bellissimo libro di Salvatore Niffoi, Ritorno a Baraule, edito da Adelphi, una commistione squisita di lingua italiana e sardo, una storia drammatica e potente, capace di incatenare il lettore alle pagine del romanzo fino alla fine.
Particolarmente efficaci sono le sue meravigliose descrizioni, che restituiscono odori e sapori coinvolgendo tutti i sensi, come in questo brano.
Ogni anno, a fine ottobre, le zie di Carmineddu rivoltavano a mani nude l’impasto per i dolci che onoravano i Santi e i Morti, per ricordare i loro fratelli di latte. I muri del vicinato di Creschentina, tra il palazzo del Comune e la scuola elementare, si glassavano di un velo dolciastro e alabastrino. I bambini delle elementari, col grembiulone blu e il fiocco rosso sfilacciato, si buttavano nella discesa di piazzale Locoris a naso in su, inebriati dall’odore del miele e della buccia d’arancia candita che usciva dalla cucina rustica dei Pullana, un odore che restava dentro le nari per tutta la vita. “Ajò, ajò! Curre, curre, pizzinè, chi ses primu!” Profumi che nutrivano i sogni e imbrogliavano la fame.