La leggenda della pastiera

Pastiera 2015 (3)Proprio in questi giorni stavo leggendo uno dei bellissimi romanzi di Maurizio De Giovanni, Vipera, che appartiene a una serie di racconti che vedono protagonista il commissario Ricciardi, nella Napoli dei primi anni Trenta. Mi ci sono appassionata perché sono scritti sapientemente e, nonostante io non ami particolarmente i romanzi gialli, mi hanno catturato, tanto da costringermi a cercarne i volumi della serie anche in tutte le biblioteche della zona.

Proprio all’interno dell’ultimo volume che ho avuto tra le mani, c’era un brano delizioso, che mi ha fatto venir voglia di preparare proprio la pastiera per la prossima festa di Pasqua. L’emozione suscitata dal tenero racconto che il brigadiere Maione fa ai suoi figli, mentre la moglie prepara il dolce con mani sapienti, mi ha spinto a sceglierla di nuovo come sontuoso dolce pasquale per la mia famiglia finalmente riunita.

Spero che tutti quelli che mi seguono abbiano avuto una Pasqua felice, proprio come la mia e quella narrata nel brano che sono lieta di condividere con voi.

Mentre i bambini di casa Maione spalancavano gli occhi davanti a tutto quel ben di Dio che Lucia aveva disposto sulla tavola, il brigadiere disse:

– Molto molto tempo fa, quando la città era giovane, c’era solo un piccolo villaggio di pescatori vicino al mare. E dal mare veniva quasi tutto quello che c’era da mangiare, il pesce, i crostacei, le cozze, tutto. Un giorno però venne una tempesta, e le barche dei pescatori non potevano uscire più; la tempesta non finiva, passavano le settimane e ormai le riserve erano finite, non c’era più niente.

Maione punteggiava il racconto imitando gli effetti sonori, tuoni, fulmini, le onde alte del mare. Anche i figli maggiori, che avevano ascoltato la storia decine di volte, erano affascinati e seguivano a bocca aperta.

Sorridendo, Lucia manipolava sapientemente gli ingredienti.

(…)

– Proprio così, – disse il brigadiere Maione ai figli. – Il mare non ne voleva sapere, di calmarsi. E siccome ormai era arrivata la primavera e i bambini avevano fame, i pescatori decisero di uscire lo stesso, anche se la tempesta urlava ancora. Le mogli e i bambini erano disperati, al pensiero dei papà che affrontavano quelle onde alte più delle case. Ogni sera si riunivano sulla spiaggia, sotto la pioggia, e pregavano e piangevano e si disperavano, perché il mare cattivo restituisse i papà con le loro barche. Che faccio, mi fermo o vado avanti?

Con sapienza, teneva l’attenzione dei bambini mentre con altrettanta sapienza le mani di Lucia componevano la propria sinfonia, amalgamando la ricotta con le uova, la vaniglia, la cannella, lo zucchero e l’acqua di fiori d’arancio. Si accorse con una punta d’orgoglio che Maria e Benedetta, pur ascoltando il racconto di Raffaele, non si perdevano un suo gesto.

Avanti, pensò lei.

Avanti, dissero i bambini in coro.

(…)

– La nostra città, – disse Maione, – era piccola, ve l’ho detto. Ma i bambini e le donne erano come adesso, quando piangevano lo facevano a voce così alta che era impossibile non ascoltarli. E alla fine una sirena, che sarebbe una donna con una lunga coda di pesce che vive sotto il mare, di nome Partenope, venne fuori e disse: ma perché piangete e strillate giorno e notte, e non mi fate dormire?

La bambina che gli stava in braccio disse, stringendosi a lui:

– Perché volevano i papà!

– E brava, proprio così risposero i bimbi alla sirena Partenope. E lei, che era una sirena buona, si commosse e disse: mo’ ci penso io. E si inabissò di nuovo per andare a parlare a suo padre, il Mare. Per dirgli che c’erano tutti quei bambini e quelle mogli che aspettavano il ritorno degli uomini per poter mangiare e riabbracciarli.

Lucia unì l’impasto al grano cotto nel latte, aggiungendo la cucuzzata e il cedro candito tagliato a dadini. Il figlio allungò la mano per ghermirne un pezzo, e lei rapidissima gli diede uno schiaffetto dicendogli:

– Non ancora!

(…)

– Il Mare Brontolò, – disse Magione, perché non voleva consentire alle barche di rientrare a casa, si stava divertendo troppo con quella tempesta. E poi aveva fame, ed era di malumore. Partenope, che lo conosceva bene, andò a dirlo alle mamme e ai bambini sulla spiaggia, e loro si riunirono per decidere cosa fare. Fu allora che alla bambina più piccola venne in mente un’idea: siccome era primavera, e il Mare non lo sapeva, pensò di dirglielo facendogli vedere tutte le belle cose che la stagione portava. Così prepararono tante scodelle con le bontà della terra: la ricotta e la farina, simbolo della campagna fertile; le uova, simbolo della vita che si rinnova; il grano bollito nel latte e l’acqua di fiori d’arancio, simbolo dell’incontro delle piante e degli animali; lo zucchero, simbolo della dolcezza, e le spezie, simbolo dei popoli lontani affratellati proprio dal mare. E misero tutto là, vicino alla spiaggia.

Lucia cominciò a tagliare in listarelle la sfoglia residua, che aveva tenuto da parte proprio per quello, ascoltando la voce piena e rotonda del marito e pensando a quanto lo amava.

– Durante la notte, le onde portarono i doni in fondo al mare; Partenope, che aspettava, unì tutto e preparò una torta che diede al padre. Lui se la mangiò una fetta alla volta, e la fame gli passò, e insieme alla fame gli passò la rabbia e si calmò, diventando una tavola. Così le barche poterono rientrare, cariche di pesce, e i bambini riabbracciare i propri padri. Da allora, ogni volta che viene la primavera, le mamme ripensano a quel giorno e preparano la torta che preparò Partenope. E noi ce la mangiamo.

Lucia guardò Raffaele che abbracciava tutti i bambini; Benedetta le si avvicinò e le diede un bacio, così lei le consentì di applicare l’ultima listarella sulla pastiera che sarebbe stata portata al forno.

Le sorrise, e pensò che era meravigliosa.

(….)

Fuori, la Pasqua irrompeva silenziosa nella primavera.