La casa nel bosco

La casa nel bosco (3)

Un racconto lungo, scritto a quattro mani: due fratelli che non si frequentano spesso, molto diversi e talvolta ostili, si ritrovano a recuperare le ultime cose personali nella casa di vacanza della loro infanzia, venduta dopo la morte del padre.

Il tempo forzosamente trascorso insieme fa riemergere ricordi e sensazioni, esperienze dell’infanzia e dell’adolescenza, odori e sapori legati ad un periodo ormai lontano e irrimediabilmente perduto.

Il ritrovamento di un quaderno di ricette ricopiate meticolosamente dalla madre da un vecchio ricettario di Mammela, la governante siciliana di allora, fa nascere il desiderio di dare concretezza, odore e sapore, alla nostalgia. Decidono allora di realizzare insieme una torta, la torta di ricotta di Mammela, da portare all’anziana madre.

E’ la torta di ricotta che fa coagulare il vissuto dei due fratelli, che ritrovano attraverso di essa la complicità che li univa, nell’accettazione del nuovo ruolo di figli ormai adulti.

   Mi passa il quaderno. Lo apro alla pagina 21. Tutto è scritto con ordine, lo avevo notato subito, con gli accapo e un confine ideale di allineamento.Si alternano parole italiane e altre che traducono il suono di quelle sicule. Mamma ha ricopiato le preziose ricette di Mammela rispettando anche gli errori di ortografia.
– Ricotta… di muccha. Con l’acca. Sì, ricotta di mucca, un chilo.
– C’è.
Quattro uova frische.
– Frische. Ci sono.
Limiuni… una scorza ri limiuni grattata.
– I limoni sono qui.
Una scorza grattata ri portuallu.
– Di che?
– Portogallo, sarebbero le arance.
– Ah, ecco, se mi traduci all’impronta è meglio. Ce l’abbiamo.
Rucientu grammi di zuccuru, duecento.
– Zucchero. Eccolo.
Unu cucchiaru di va… va… cavolo, che c’è scritto qui?
– Fai vedere… valigia? Io leggo valigia.
– Mica una brutta idea. Mettiamo tutto in valigia. Vaniglia! C’è scritto vaniglia. Un cucchiaio di vaniglia. Poi cannella in polvere, un cucchiaio pure di questa.
– Ce l’abbiamo.
– Cinquecento grammi di pasta frolla.
– Sì, o meglio quella la dobbiamo ancora fare, ma gli ingredienti sono a parte.
– Cioccolato fondente, a pizzuddi, a pezzetti. Frutta candita. Marmillata di marena, con le amarene intere snocciolate.
– E ci stanno. Ah, ho portato il cioccolato di Modica, ce l’avevo a casa.
– Qui non c’è scritto di Modica.
– Vabbè, facciamo una piccola variante.
– Ok. Finiti.
– Finiti?, sicuro?
– Sicuro. Poi cominciano le istruzioni.
– Va bene. Prima di iniziare ci facciamo un caffè?
– Non ce l’ho il caffè, pressappoco da quando non ho più una sigaretta.
– E che cos’hai?
– Tisane. Al tiglio, melissa, verbena, finocchio, mirtillo. Quante ne vuoi.
– Mi prendi per il culo?
– Perché?
– Va bene, facciamo ‘sta torta.

Mi viene in mente quando giocavamo da piccoli. Il momento più bello era proprio quando stavamo per cominciare, seduti sul pavimento, con i giocattoli schierati sul tappeto giallo.
Cominciamo dalla pasta frolla. Prendo la farina, il burro appena tolto dal frigo e un pizzico di sale. Metto tutto nel mixer. Gianrico versa sul tavolo l’impasto e aggiunge lo zucchero e la vaniglia.

– Leggi un po’…
– Adesso viene il bello. Iunciri quattru giallu d’ova sopra u muntarozzo e arriminari.
– Bene. Adesso ridimmela in italiano, cortesemente.
– Aggiungere quattro tuorli d’uovo sulla cosa… sulla montagnetta e mescolare.

Gianrico, dopo aver versato le uova, comincia ad affondare le mani nella massa. E’ una bella sensazione, gli ricorda di quando da bambino affondava le mani nella plastilina, dice. Quando l’impasto è diventato una specie di palla, ci gioco un po’ anch’io e poi l’avvolgo nella pellicola trasparente. La metto in frigo.

– Deve riposare almeno mezz’ora.
– Riposa in frigo?
– Sì.

Mentre aspettiamo guardo mio fratello, è al telefono. Penso ancora una volta che siamo così diversi. E di nuovo mi viene in mente una cosa, dal passato.

(…)

Sono passati quaranta minuti. Gianrico prende la massa, toglie l’involucro e impugna il matterello, comprato per l’occasione.
– Lo sai usare?
– No.
– Ok, vai.

Dopo qualche esitazione, lo sa usare. Stende una sfoglia sottile.
– Ho sempre desiderato farlo.
Poi ne mette da parte un po’, per decorare la torta. Quando la pasta è stesa, la modello in un cerchio di circa venticinque centimetri. Insieme, con attenzione, disponiamo la pasta nella tortiera imburrata e infarinata. Poi passiamo alla crema.
In una scodella mescolo la ricotta, le uova, la vaniglia, lo zucchero e la polvere di cannella. Oltre alle scorze di arancia, di limone e di cedro.

– Ora versate la crema di ricotta che avete in precedenza portato a bollore.
– C’è scritto così?
– No, c’è scritto: Vuggiri a crema di ricotta e iettatela rintru u tianu.
– Ah, ecco.

Gianrico aggiunge le scaglie di cioccolata, la frutta candita, qualche amarena intera e l’uva sultanina. Dopo aver piegato i bordi della pasta frolla verso l’interno, faccio dei cordoncini con la parte restante e li intreccio sulla superficie. Non è male a vedersi. Scatto una foto con lo smartphone, perché quando mi ricapita di fare la torta di ricotta? Poi Gianrico infila il tegame nel forno già caldo.

– Non è stato così difficile, no?
– No, direi di no.
– Insomma, alla fine ci siamo divertiti.
– Sì. Però poi mi dai una mano a mettere in ordine.
– Quanto deve rimanere nel forno quella cosa?
– Un’ora. Poi bisogna lasciarla raffreddare per bene e sventagliarla di zucchero a velo.
– No, per capire, ma sventagliare lì, in sanscrito, com’è scritto?
Jittari. Sarebbe gettare, prendo qualche licenza.
– Bene. Adesso possiamo riposarci, per un’oretta.
– Un’ora è sufficiente per lavare i tegami e rimettere a posto la cucina.
– Ecco, appunto.

Quando Gianrico tira fuori la crostata dal forno, mi viene quasi da ridere, come quella volta che riuscimmo a far funzionare il Dolce Forno delle cugine. La torta è alta, profumata, dorata al punto giusto.
La posa su un piano di marmo in cucina, per farla raffreddare. Poi io prendo la fotocamera e la imposto su autoscatto. Voglio che questa foto venga bene.
Ci mettiamo lì, dietro il piano di marmo, mentre scatta il flash.
La torta di ricotta è in un piatto, adesso, avvolta da un grande panno da cucina bianco e rosso, come quello che usava nonna Maria per la pasta al forno.
Siamo pronti per andare da mamma. Fuori ha cominciato a piovere, una pioggia sottile, silenziosa. Non so perché, mi mette allegria.